La filiera della salute nel nostro Paese copre l’11% del PIL, a dimostrazione di come l’assistenza al benessere, fisico e non, costituisca uno dei driver dell’economia italiana. A segnalarlo è il Rapporto di Confindustria sulla filiera della salute che è stato messo a punto con la collaborazione di Federterme, Farmindustria, Assobiomedica, Aiop e Federchimica, vale a dire le associazioni confederali di categoria che fanno parte della filiera. La cosiddetta white economy dà lavoro a più di 2 milioni e 400mila persone, il che vuol dire che copre il 10% dell’occupazione totale. Il contributo al PIL nazionale è, per essere precisi, del 10.7%, per una filiera che, ovviamente, non è solo pubblica ma anche privata. Anche per questo motivo il nostro Paese è nelle prime posizioni su scala globale nella classifica del numero di anni vissuti senza infortuni o malattie. Per di più, si tratta di una filiera anticiclica, che non risente della crisi dell’economia: lo dimostrano gli ultimi anni di fatturato ed export in crescita con numeri a doppia cifra.
Secondo il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia la filiera della salute non va considerata solo come un settore economico, ma come un vero e proprio driver al pari, per esempio, delle infrastrutture. La ragione va individuata nel notevole impatto che essa ha nei confronti della società, a maggior ragione se si tiene conto del fatto che quella italiana è una società che sta andando incontro a un progressivo invecchiamento. Ecco perché si impone un salto in avanti in termini di competenza e di qualità, le spese non possono essere solo costi ma devono rappresentare opportunità e investimenti, per riuscire ad attirare ricchezza in corrispondenza di una crescita di benessere.
Certo è che questo patrimonio nazionale è sempre in bilico, visto che negli ultimi 10 anni a fronte di un’incidenza della spesa sanitaria sul PIL dell’8.9%, ha dovuto fare i conti con tagli notevoli ai finanziamenti della sanità pubblica. Di contro, si è verificato un incremento del peso della spesa sanitaria pubblica sul prodotto interno lordo. Il paradosso del Belpaese, insomma, è quello di una domanda di salute in crescita che impatta contro risorse pubbliche in calo. Se è vero che si è fatta di necessità virtù, con una spesa pubblica che nel tempo è diventata più efficiente, è altrettanto vero che il Sistema Sanitario Nazionale avrebbe comunque bisogno di più fondi. L’approccio outcome-based ha finito per soccombere rispetto alla logica dei tagli: un approccio che non si basa unicamente sulla valutazione delle singole voci di budget pubblico ma allarga lo sguardo ai risultati globali dal punto di vista dei benefici economici.
Per l’AIOP, l’Associazione italiana dell’Ospedalità Privata, il turismo sanitario potrebbe trasformarsi in una potenziale e preziosa fonte di risorse in grado di rimediare alle difficoltà che caratterizzano il Sistema Sanitario Nazionale. Il nostro Paese è in grado di mettere a disposizione cure di eccellenza non solo per chi abita in Italia, ma anche per chi viene da fuori. Vale la pena, pertanto, di provare a promuovere il Sistema Sanitario Italiano al di fuori dei confini nazionali, per attirare la domanda di cura di chi giunge da altri Stati. Le risorse pubbliche della spesa sanitaria servono a finanziare i tre quarti del sistema salute, ed è per questo che le politiche sanitarie vanno considerate a tutti gli effetti come politiche industriali. A questo scopo, Confindustria mette in evidenza il bisogno di una programmazione delle policy che sia condivisa tra le imprese e il settore pubblico: quello che deve essere evitato, invece, è un approccio prettamente ragionieristico.
L’innovazione potrebbe essere, anzi, dovrebbe essere premiata e riconosciuta attraverso il supporto ai diritti di marchio e brevetto, allo scopo di promuovere gli investimenti nel campo della sanità pubblica e del benessere. A incidere sulla spesa sanitaria è, naturalmente, anche la ricerca farmaceutica: le imprese del farmaco costituiscono una parte molto importante della filiera della salute e hanno un ruolo decisivo dal punto di vista dell’innovazione. Esse sono in grado di esportare e di produrre, mentre la rivoluzione del digitale ha fatto sì che si giungesse al primato di farmaci in sviluppo in tutto il pianeta: sono nel complesso quindicimila, e di questi, più di settemila sono in fase clinica. Le terapie avanzate e la genomica, a loro volta, hanno fatto passi da gigante, mentre il medicinale è diventato protagonista di un cambio di paradigma in virtù del quale non è considerato unicamente un prodotto, ma rientra in un più ampio processo di cura.
Per quel che riguarda la sanità privata, questa filiera con 144 miliardi di euro sfiora il 5% del fatturato dell’economia di tutto il nostro Paese, tenendo conto non solo dei servizi sanitari privati, ma anche del commercio e della manifattura. Si parla di quasi il 7% del valore aggiunto, per 49 miliardi di euro, del 7% delle esportazioni e di circa il 6% dell’occupazione, in virtù di oltre 900mila persone impiegate.
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